C'era una volta,
in un paese lontano lontano, una bambina di nome Anne.
Anne era alta un barile e mezzo, aveva i capelli lunghi, lisci e color del miele di castagno; viveva insieme alla mamma e al babbo in una casa tutta di pietra nel bel mezzo del bosco. In una radura poco lontana dalla loro abitazione, facevano pascolare la mucca Flora e il piccolo gregge capeggiato da un’astutissima pecorella bruna di nome Campanellino.
Campanellino era la disperazione di mamma Benedetta e papà Tomeo ed anche della piccola Anne; la birbante era capace di prendere iniziative davvero sconcertanti in cui poi coinvolgeva tutto il gregge. Una volta, per esempio, decise di voler saltare a tutti i costi lo steccato che segnava il confine tra il pascolo di Tomeo e un altro; ma, dopo averci provato più volte, rimase incastrata a penzoloni nel vuoto tra i due pascoli. Campanellino, per lo spavento, iniziò a belare a più non posso, tutte intorno le altre pecore presero a belare anche loro a perdifiato e Flora la mucca, irritata da tutto questo trambusto, smise di dare latte per due giorni.
Quante emozioni quel giorno per Anne che non faceva altro che andare, dal pascolo a casa, per tenere informata la mamma su come, papà Tomeo, cercava di disincastrare Campanellino e calmare poi tutto il gregge.
Benedetta prendeva il tutto con molta filosofia, sapeva di che pasta era fatta Campanellino e quindi non si stupiva più di tutti i guai che combinava, però sapeva anche che era la pecora più simpatica che avesse mai avuto e quanto latte dava e che buon formaggio se ne ricava!
Ma Anne, un bel giorno, si legò le trecce e decise che era venuto il momento di insegnare le buone maniere a Campanellino.
Andò al pascolo di buon ora e si diresse dritta verso la pecorella malandrina, la guardò negli occhi e le fece un bel discorso su quali fossero i doveri di una brava pecora e i limiti ai quali si doveva scrupolosamente attenere. Ad esempio poteva correre quanto voleva ma solo nel loro pascolo, non doveva per nessun motivo disturbare Flora e se voleva saltare, la staccionata non era proprio l’ostacolo giusto. E poi le intimò una punizione terribile: se non avesse smesso di combinare guai l’avrebbe mandata a pascolare da sola nel pascolo di montagna dove tira sempre un vento barbino e non c’è nessun altro animale tranne le aquile e i terribili lupi!
La pecora la fissò un po’ incuriosita per tutto il discorso e poi a mo’ di risposta fece un balzello e le addentò il ciuffo di un treccina. Anne che non se lo aspettava e sentendosi improvvisamente strattonare verso il basso, perse l’equilibrio e cadde fragorosamente a terra. Fu mamma Benedetta quella volta a sentire il piantarello della sua bambina per prima; uscì nel cortile e le andò incontro.
nne, che succede, perché piangi?”
“Mamma, mamma, quella brutta pecora mi ha mangiato un treccina!”
“Chi, Campanellino?”
“Sì, proprio lei!” Disperò la bimba.
“E che cosa ti ha fatto?” Chiese la mamma sorpresa.
Anne scoppiò di nuovo a piangere mentre le mostrava il ciuffo finale della treccia che era sì, tutto bagnato e inzaccherato di terra, ma che non sembrava realmente “mangiato”. Probabilmente, si disse tra se la mamma, Anne si è solo molto spaventata. Così le mise un braccio intorno alle spalle e l’accompagnò in casa dicendole: “Ora Anne, faremo un bel bagno caldo e ti laverò i capelli per benino e poi vedremo se quella birichina di Campanellino te li ha rovinati. Se così fosse, vedrai che la mamma te li spunta e torneranno belli come prima”.
Così dicendo entrambe si avviarono all’interno dell’abitazione mentre il sole, di fuori, cercava di farsi un varco tra i faggi per poter finalmente tramontare in santa pace e porre così fine a quella lunga giornata.
Il giorno successivo Anne raccontò anche a papà Tomeo quello che era successo tra lei e Campanellino. Papà Tomeo sorrise e le disse però che al pascolo montano, Campanellino non si poteva portare, era troppo pericoloso e se proprio voleva raggiungere i suoi scopi avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione.
Anne allora si allontanò pensierosa osservando con la coda dell’occhio l’unica pecora bruna del loro gregge che brucava in tutta tranquillità un monticello erboso che aveva l’aria particolarmente appetitosa. Poi tornò da papà Tomeo e gli chiese: “Papà ma perché Campanellino, si chiama Campanellino?”
“Perché un tempo, quando era piccola, le avevamo messo un campanello al collo per ritrovarla perché si perdeva in continuazione."
“Quindi è sempre stata una birbante!” Disse Anne al babbo.
“Proprio così, quindi cercare di farla cambiare non sarà un’impresa facile!”
Sì, il babbo aveva proprio ragione, il problema era davvero spinoso. Ma, ecco che le era venuta una buona idea: se la pecorella non poteva essere portata al pascolo montano, qualcosa del pascolo montano poteva essere portato alla pecorella!
Andò in casa e in soffitta, con l’aiuto della mamma, trovò quello che le occorreva.
E ora non restava che aspettare l’occasione buona, ossia, la prossima marachella di Campanellino.
Non dovette attendere a lungo perché Campanellino una ne pensava e cento ne faceva. Un pomeriggio la pecorella, avendo deciso di prendersi un po’ di libertà, era strisciata sotto la staccionata per correre un po’ nel boschetto di faggi.
Anne l’aveva vista.
La bimba fece un furbo sorriso, indossò il pesante indumento e corse anche lei verso il boschetto. La mamma osserva la scena da poco lontano e si chiedeva se effettivamente l’espediente avrebbe funzionato.
Anne quatta, quatta si era nascosta dietro una piccola rupe e osservava Campanellino che ignara trotterellava qua e là. Poi mentalmente contò: -uno, due e tre!-
Ed ecco che Campanellino si ritrovò davanti un enorme (per lei) lupo ispido e ululante che le sbarrava la strada. La pecorella si spaventò a tal punto che quasi le si sbiancò il mantello, fece marcia indietro e corse al sicuro del pascolo da babbo Tomeo che l’aspettava con il recinto aperto.
Il lupo a quel punto si spogliò e rivelò essere non altro che una bimba con le trecce.
Anne, aveva trovato in soffitta un vecchio costume di carnevale e con quello si era trasformata nel terribile lupo dei pascoli montani.
Ora, ogni volta che Campanellino ne avesse combinata una delle sue il lupo sarebbe magicamente riapparso. Ma noi siamo sicuri che a Campanellino uno spavento grande come quello, era proprio bastato.
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